Oggi il Flow 🏄🏼♂️ ci porta a parlare del nuovo trend delle “action figure” personalizzate: le avrete viste sicuramente postate sui social, quelle rappresentazioni in stile giocattolo da collezione di personaggi famosi o… di noi stessi. Ma c’è qualcosa che proprio non torna!
Prima di cominciare questo viaggio nelle mode che spopolano sui social, ti ricordo che nell’ultimo numero di Consumer Flow💨 abbiamo parlato di connessione tra cliente e azienda… Se te lo sei perso, lo trovi qui!💨
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💫 Main Flow: pensieri per ragionare insieme
E tu che bambola sei?
Sembrava che avessimo appena superato l’overdose di immagini prodotte dall’intelligenza artificiale in stile fumetto (Studio Ghibli) ed ecco arrivare un nuovo tormentone sui social: lo starter pack in versione “action figure” (letteralmente “modellino in azione”). Voi lo sapevate che fu la Hasbro a coniare questo termine nel 1964, quando fu prodotto il primo giocattolo di questo tipo che raffigurava G.I. Joe, il bambolotto maschile, ideato dopo il grande successo della Barbie.
Beh, cosa c’entra questa storia di vecchi giocattoli con la modernità dell’AI? E’ presto detto: se hai frequentato TikTok o Instagram negli ultimi giorni, probabilmente ti sei imbattuto nella strana immagine di un pupazzetto chiuso in una confezione trasparente, in posa verticale, contornata da accessori che ne raccontano la personalità. Non si tratta di un nuovo prodotto in vendita, ma di una rappresentazione in stile giocattolo da collezione di personaggi famosi, politici, celebrità… o di persone che vi ricordano qualcuno. Come questo 👇🏽
Ma più spesso, parliamo di personaggi famosi: Taylor Swift ha nella confezione un gatto, un microfono e una chitarra. Jannik Sinner? Racchetta, carote, volpe. Ma ci sono anche versioni di Berrettini, di Aldo Giovanni e Giacomo, Carlo Calenda, Giorgia Meloni: sì, anche la politica si è tuffata nel trend. Lo stesso hanno fatto brand come Carrefour, KFC e persino Intesa Sanpaolo. 😱
Tutti possiamo essere trasformati in bambole. Basta una foto, un prompt (cioè una richiesta scritta a ChatGPT) e pochi secondi dopo eccoci lì: impacchettati, con outfit personalizzato, espressione su misura, magari la nostra professione scritta sul fondo della scatola. Possiamo scegliere anche il colore del blister, la posizione della figura e ovviamente gli accessori: un computer, una tazza di caffè, un libro, il nostro cane.
A prima vista sembra solo un gioco divertente. Ma… c’è qualcosa che non torna! 🤔
La rappresentazione di noi stessi
Il primo punto critico riguarda la rappresentazione di noi stessi come oggetti da collezione. È solo una metafora visiva oppure stiamo davvero interiorizzando l’idea che sia normale vivere in vetrina, confezionati per essere desiderabili e condivisibili? Una bambola non si muove, non parla, è ferma nel suo ruolo. E noi?
Inoltre, questa tendenza rientra in una categoria più ampia che alcuni studiosi chiamano “infantilizzazione digitale”: un ritorno all’estetica infantile, ai filtri da cartone animato, agli occhioni da manga. Pensiamo anche al “Chubby filter” di TikTok, che ci trasforma in neonati o pupazzi dagli zigomi paffuti e sorriso fisso. Perché adulti e adolescenti sembrano sempre più attratti da rappresentazioni infantili di sé stessi?
Potrebbe sembrare solo una moda passeggera, ma non dobbiamo sottovalutare l’impatto psicologico e culturale di questi contenuti. Per i più giovani, queste immagini diventano modelli di riferimento. Se il nostro avatar ideale è una bambola, se comunichiamo le nostre emozioni attraverso pupazzi e action figure, che tipo di identità stiamo costruendo?
La questione dei dati
Per creare queste immagini, spesso carichiamo la nostra foto su piattaforme di intelligenza artificiale, affidando i nostri dati biometrici a sistemi che non sempre dichiarano in modo trasparente come saranno utilizzati.
Sappiamo davvero dove finiscono le nostre immagini? E se un giorno venissero usate per scopi commerciali, o peggio, per manipolazioni identitarie?
E allora che fare?
Prendiamone atto: siamo passati dalla narrazione di sé al branding personale e ora alla “giocattolizzazione” della nostra immagine. Tutto diventa contenuto, tutto si trasforma in un potenziale meme. Ma questa estetica così infantile, così confezionata, non rischia di farci perdere ironia, profondità, complessità?
E allora il consiglio di oggi è questo: va bene giocare, divertirsi, sperimentare con l’intelligenza artificiale (l’ho fatto anche io, come avete visto). Ma facciamolo con qualche consapevolezza in più, chiediamoci sempre perché un certo trend diventa virale, chi lo spinge e soprattutto che effetto ha sui consumatori.
Non siamo pupazzi! E voi lo sapevate?
⚡️Social Flow: un giro sui miei social
Gioco o strategia?
La tendenza della “ghiblizzazione” che sta inondando i nostri feed non è solo un divertente passatempo digitale: in questo video spiego come una sofisticata strategia di adozione tecnologica si maschera spesso da gioco. 🎮
Per oggi è tutto, ci vediamo prestissimo proprio qui, nel Flow!🌊
Massimiliano
grazie per l'articolo.